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Normalizzare la leadership femminile - Alessandra Capelli, Responsabile Qualità e Sicurezza

Oggi, per l’iniziativa “Un anno dedicato alle donne in NS12”, vi raccontiamo la storia e il percorso per arrivare alla guida di attività di rilievo, nonché il punto di vista sull’empowerment femminile e sul femminismo, della nostra Responsabile Qualità e Sicurezza: Alessandra Capelli.

Alessandra, che lavora in NS12 da ben 7 anni, ha accettato di rispondere ad alcune domande sul suo lavoro e di raccontarci come affronta e concilia il suo ruolo di lavoratrice e mamma a tempo pieno.  

Partiamo dall’inizio Alessandra: raccontaci il tuo percorso, dagli studi alla posizione lavorativa che ricopri oggi.

A: Mi sono laureata in Scienze Politiche con l’obiettivo di perseguire una carriera istituzionale nel panorama internazionale.

Invece ho iniziato il mio percorso lavorativo all’ICE (Istituto per il Commercio Estero) occupandomi di internazionalizzazione delle imprese italiane. Successivamente ho cambiato leggermente direzione, virando sul Marketing per conto della Onlus WWF, occupandomi di grandi e piccoli donatori nonché di tutta la parte creativa e organizzativa relativa al gadgeting e merchandising ( i famosi Panda Gifts!).

Sono approdata in NS12 7 anni fa. Inizialmente la nostra azienda era più piccola e coprivo più ruoli e più attività contemporaneamente come il Marketing, Area Acquisti e Sicurezza e Qualità. Questo mi ha permesso di mettere alla prova tutte le mie competenze, facendo emergere successivamente la mia innata attitudine per il ruolo che ricopro oggi. Con il tempo e la crescita della nostra organizzazione mi sono concentrata  e specializzata esclusivamente nell’ambito della qualità, sicurezza e salute dei lavoratori, nonché della compliance rispetto al GDPR”.

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Dato che stiamo ripercorrendo i punti salienti della tua carriera, hai qualche ricordo di fatti significativi, belli o meno belli, che hanno lasciato un segno importante?

A: “L’esperienza maturata in ICE è stata sicuramente la più formativa e la più professionalizzante. Non soltanto perché è stata la mia prima esperienza lavorativa ma soprattutto perché è stata molto coinvolgente. Ero impegnata nei vari progetti a 360 gradi: dalla progettazione iniziale fino alla conclusione e sempre con risultati molto soddisfacenti. E’ sempre una grande soddisfazione quando le idee si trasformano in progetti concreti, è molto gratificante e stimolante seguire piani di lavoro così completi. Il plus di quel lavoro era rappresentato dal fatto di avere la possibilità di viaggiare spesso all’estero, il che ha reso l’esperienza in ICE l’attività lavorativa perfetta per me.

Ho sempre amato viaggiare e una delle mie ambizioni più grandi era di intraprendere la carriera diplomatica. Con il tempo ho avuto modo di constatare che le posizioni diplomatiche assegnate alle donne erano quasi sempre in Paesi  piuttosto lontani e di minor rilievo e peso politico mentre i ruoli di maggior prestigio erano destinati a colleghi uomini”. 

Con quest’ultimo retroscena andiamo subito al cuore della nostra intervista: la leadership femminile e le difficoltà a raggiungere ruoli di responsabilità.

A: “Le donne in diplomazia sono un fatto relativamente recente se pensiamo che le prime donne sono entrate in carriera diplomatica nel 1967. Tuttavia, ancora oggi la percentuale femminile in carriera è bassa rispetto a quella maschile; le donne infatti rappresentano circa il 23% di tutto il personale diplomatico. Inoltre, le posizioni più comode geograficamente, più prestigiose e paradossalmente meno pericolose sono ricoperte da rappresentati di sesso maschile.

Questa serie di fattori e di “difficoltà” delle donne a raggiungere ruoli di responsabilità, sono stati determinanti nel mio caso facendomi propendere per altri tipi di attività”.

So che tu sei anche mamma e quindi, come per la collega Sagnelli, anche per te la domanda è d’obbligo: come gestisci il tuo Work Life Balance?

A: “Lo smartworking durante il periodo pandemico e la successiva adozione della modalità di lavoro di tipo ibrido hanno portato ad un equilibrio quasi perfetto del mio Work Life Balance. 

Lavorando da casa si ha la possibilità di gestire molto meglio il proprio tempo e gli impegni lavorativi, familiari e personali. I momenti di concentrazione che offre l’ambiente lavorativo casalingo  per me sono diventati preziosi e li preferisco rispetto al lavoro on site. 

Il clima aziendale e la quotidianità in ufficio sono decisamente cambiati e vengono vissuti dalla maggior parte dei lavoratori come un luogo di ritrovo e di socializzazione, dedicato soprattutto ai meeting e al confronto”.

A questo proposito, sembra che la pandemia e il prolungato lockdown abbiano messo ancora più in evidenza il ruolo delle donne all’interno della società lavorativa e il ruolo di lavoratrici e madri.

A: “La pandemia è stata certamente un evento traumatico e altamente drammatico ma, allo stesso tempo, ci ha fatto riscoprire una serie di valori come l’importanza degli affetti e della famiglia e il valore del tempo e della lentezza; temi dati un po’ per scontati dalla maggior parte di noi”.

Si sta parlando incessantemente di empowerment femminile, dicendo alle donne che possono farcela. Secondo te è vero?

A: “Le donne ce l’hanno sempre fatta, non ci sono dubbi su questo. L’unico problema – che persiste ancora oggi dopo 50 anni dalla legalizzazione dello Statuto dei lavoratori – è la mancanza di un  reale riconoscimento sociale del ruolo femminile. Esiste un evidente problema strutturale che da decenni ostacola e rende complicato per le donne conciliare impegni familiari e di cura con ritmi ed esigenze lavorative. 

Il punto da cui ripartire è proprio quello del riconoscimento effettivo del nostro impegno lavorativo e delle nostre capacità. Il secondo tema su ci sarebbe utile disquisire riguarda la mancanza della solidarietà femminile nei luoghi di lavoro. Noto una certa tendenza generale che ci porta a collaborare meglio con i colleghi uomini piuttosto che con il nostro stesso sesso”.

Perché secondo te?

A: “Spesso si pensa che le donne siano nemiche tra di loro per colpa dell’invidia, della disistima e altri fattori esterni. Di certo il retaggio di una cultura patriarcale non ha fatto altro che acuire l’enorme divario di genere e, soprattutto, non ha fatto altro che isolare le donne e farle sentire, fin troppo spesso, sole.

Inoltre esiste una diffusa credenza culturale per cui le donne pensano di dover sempre dimostrare il loro valore. Dimostralo agli uomini è facile, in quanto le nostre qualità non si fermano alle competenze tecniche ma abbracciano anche delle soft skill che di solito agli uomini mancano. Quando invece ci andiamo a confrontare con delle colleghe donne, il senso di prevaricazione si accentua ancora di più in quanto riconosciamo in loro un degno avversario. Tutto ciò ci porta poi a vivere con più difficolta la collaborazione femminile e il lavoro in gruppo. Purtroppo siamo, ancora oggi, vittime di questi bias culturali”.

Dall’ empowerment femminile passiamo al femminismo, tornato recentemente alla ribalta come un marchio sempre più “vendibile”. Credi ci sia una banalizzazione nell’enfatizzare questo “empowerment femminile” o lo vedi con simpatia? E tu, ti definiresti femminista?

A: “No, non mi definisco una femminista. Ritengo che andrebbero premiate e gestite diversamente le figure femminili all’interno dell’area lavorativa: non messe a confronto e non messe in competizioni ma valorizzare per il lavoro svolto e per l’apporto dimostrato.

Le battaglie femministe intraprese e le notizie lette sui giornali fanno, appunto, solo notizia e folclore ma non portano un reale vantaggio alla causa femminista ma – anzi – la allontanano sempre di più”.

Siamo in chiusura Alessandra, prima di salutarti ti pongo un ultima domanda: come responsabile donna e come lavoratrice, ti sei mai sentita sminuita e messa da parte in quanto, appunto, donna?

A. “Messa da parte e sminuita no ma di fatto, avendo avuto sempre responsabile uomini, mi sono sentita quasi in dovere di dimostrare il mio valore e impegnarmi sempre di più rispetto ad un collega uomo. Come se partissi da una posizione di svantaggio e dovessi guadagnarmi il posto al tavolo delle trattative. Nel mio caso, da persona determinata quale sono, non mi sono mai fatta abbattere da questo tipo di meccanismo, ormai insito nella realtà lavorativa italiana, ma di certo non l’ho mai accettato come un dato di fatto. 

Il rapporto uomo-uomo e uomo-donna sul posto di lavoro è ancora molto disparitario all’interno della nostra società. Nonostante l’esempio di NS12 sia differente questo non basta. Non è il numero di donne al potere a fare la differenza. Dovremmo tutti impegnarci affinché l’intero sistema  continui la sua migrazione verso un’effettiva parità di genere”.