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L’AI e il Regolamento Europeo: una visione chiara del mondo digitale in evoluzione

Il nuovo anno in corso porta avanti una notizia che ormai riguarda tutto il mondo digitale: l’Intelligenza Artificiale sta assumendo un ruolo sempre più centrale e l’Unione Europea è in testa nel definire regole etiche e normative per guidarne l’adozione responsabile.
Il Regolamento sull’IA del 2021 mira a bilanciare innovazione e tutela dei diritti ma sorgono domande spontanee: queste regole sono adatte al nostro mondo digitale in rapida evoluzione?

La risposta è ovviamente negativa.

Infatti, l’attuale governo ha deciso di riformulare il piano strategico, elaborato dal Governo Draghi per il triennio 2022-2024, prima della sua scadenza naturale. Una scelta consapevole e importante, anche perché il piano, seppure frutto di un grande lavoro, aveva diversi limiti. Oltre a un orizzonte temporale e spaziale troppo ridotti (tre anni e un focus preponderante sulla ricerca e sviluppo), non aveva un budget né una governance dedicati; due punti importantissimi da approfondire e su cui lavorare.

Le (mancate) strategie delle imprese nei confronti dell’AI

In un editoriale di fine 2023 del Financial Times si sottolinea che “questo è stato un anno folle e rivoluzionario per l’intelligenza artificiale, diventata argomento caldo di discussione in quasi ogni sala riunioni aziendale. Eppure, nonostante tutto l’hype e il dramma, sono emersi pochi casi d’uso aziendali convincenti per la tecnologia. Tutte le chiacchiere sull’IA generativa che reinventa la ricerca su internet sono svanite dopo che Bing con IA di Microsoft non è riuscito a disturbare il dominio di mercato di Google. Preoccupazioni sulla sicurezza dei dati, i diritti di proprietà intellettuale e l’abitudine dell’IA generativa di “allucinare” fatti – o, più crudamente, di inventare cose – hanno anche scoraggiato le aziende dall’implementare la tecnologia. E molte start-up basate sull’IA, che promettevano di rivoluzionare vari settori, sono fallite sulla rampa di lancio con il rilascio di modelli di IA generativa sempre più capaci che hanno distrutto i loro modelli di business originali”.

I termini utilizzati nell’articolo potrebbero essere caratterizzati da una valutazione eccessivamente scettica. Tuttavia, è innegabile che, finora, i principali beneficiari della crescente adozione dell’intelligenza artificiale (IA) siano state principalmente le aziende tecnologiche in grado di fornire hardware specializzato e infrastrutture di calcolo, oltre alle startup più innovative che hanno introdotto modelli generativi di alto impatto, come nel caso di OpenAI, Anthropic e Mistral.

Le aziende operanti nello sviluppo dell’IA generativa devono affrontare due categorie di ostacoli significativi. Da un lato, vi è la sfida rappresentata da un mercato consumatore che si è abituato a usufruire di servizi digitali sofisticati senza alcun costo. Dall’altro lato, si registra una resistenza da parte del mercato aziendale, il quale, a sua volta, manifesta preoccupazioni in merito a vari rischi associati all’IA generativa. Questi rischi comprendono tematiche tradizionali come la sicurezza informatica e la tutela della privacy, oltre a questioni emergenti quali la gestione della proprietà intellettuale e la comprensione delle possibili allucinazioni generate dai modelli generativi. Molto spesso, le imprese mostrano una limitata capacità di sfruttare appieno i vantaggi offerti da tali tecnologie, principalmente a causa della carenza di competenze specialistiche.

La necessità di politiche digitali per le aziende

Una strategia nazionale di successo nel campo dell’Intelligenza Artificiale (IA) deve dunque necessariamente estendersi oltre il settore specifico dell’IA, abbracciando integralmente il contesto digitale in cui cittadini e imprese operano. Questa necessità è evidenziata da una considerazione prolungata dell’indice DESI, il quale, nel corso degli anni, ha permesso di confrontare le performance delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT) tra gli Stati membri dell’Unione Europea. L’Italia, a tale riguardo, si colloca costantemente agli ultimi posti, sia per quanto concerne le competenze digitali avanzate che quelle di base.

A titolo di esempio, nel 2022, solo il 13,4% delle aziende con almeno dieci dipendenti poteva vantare la presenza di specialisti ICT, e solamente il 19,3% aveva implementato programmi di formazione nel settore delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione. Questi dati illustrano una significativa lacuna nel livello di competenze digitali all’interno del tessuto aziendale italiano, sottolineando l’importanza di una strategia nazionale che non solo promuova l’IA, ma affronti in maniera ampia le sfide digitali generali nel panorama nazionale.

Il passaggio dal 4.0 al 5.0

In questo contesto, prevalentemente caratterizzato dalla presenza di piccole e spesso microscopiche imprese, determinate iniziative assumono particolare rilevanza, soprattutto considerando l’Italia, dove tale scenario è più pronunciato rispetto ad altri Paesi. Tra queste, si evidenziano le misure di sostegno come i crediti fiscali destinati alla formazione digitale, conosciuti come “formazione 4.0”, che sono stati previsti fino al 2022. Tuttavia, il quadro generale degli incentivi alle imprese è in fase di riforma, passando dalla denominazione “Transizione 4.0” a “Transizione 5.0”. Questa trasformazione rappresenta un indicatore cruciale e dovrebbe vedere la sua piena attuazione all’inizio del nuovo anno, dopo un lungo processo di negoziato con la Commissione europea, all’interno della revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), recentemente approvato.

Un rischio che è stato recentemente sollevato riguarda la possibile somma della transizione ecologica e dell’efficienza energetica a un paradigma 4.0 che potrebbe non essere ancora sufficientemente consolidato. Tale accostamento potrebbe non portare vantaggi significativi né alla transizione ecologica né all’efficienza energetica, compromettendo inoltre la competitività nazionale. L’obiettivo principale delle misure di sostegno dovrebbe essere proprio il beneficio per la competitività del paese.

In un contesto tecnologico caratterizzato da rapidi cambiamenti, gli imprenditori, soprattutto quelli di dimensioni più contenute, dovrebbero essere supportati non solo, e forse nemmeno principalmente, con incentivi finanziari finalizzati all’acquisto di hardware o software. Al contrario, un focus particolare dovrebbe essere dedicato all’incremento delle competenze imprenditoriali, fornendo loro gli strumenti necessari per effettuare investimenti mirati e adeguati alla loro situazione specifica.

In questa prospettiva, l’adozione di misure come i voucher per l’acquisto di servizi di consulenza per l’innovazione da parte di soggetti accreditati assume un ruolo chiave. Tali servizi possono includere un audit 4.0 (o 5.0) basato su un benchmark dello stato delle tecnologie in uso rispetto ai migliori concorrenti del proprio settore, insieme a un piano concreto per migliorare il proprio livello tecnologico. In questo scenario, gli incentivi finanziari diventano strumenti per facilitare e accompagnare il processo di crescita effettiva, personalizzato in base alle reali esigenze delle imprese, anche attraverso l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale. Allo stesso tempo, tali incentivi contribuiscono a evitare investimenti poco utili, sia a carico dello Stato che delle imprese stesse.

Conclusioni

Il corrente anno, il 2024, riveste un’importanza cruciale per l’Italia e altri paesi nell’elaborazione di strategie finalizzate all’adozione dell’intelligenza artificiale e affrontare le sfide connesse alla trasformazione digitale. La collaborazione sinergica tra il settore pubblico e privato, unitamente al focus mirato sulla formazione e consulenza specializzate, emerge come elemento essenziale per assicurare una transizione fluida e sostenibile nel sempre più complesso panorama dell’intelligenza artificiale.

Se, da una parte, è innegabile che l’IA sia destinata a consolidarsi come realtà, dall’altra parte, la questione del controllo continuerà a suscitare dibattiti a livello politico, economico e sociale.

Nel corso del 2024, è probabile che i governi e le istituzioni si trovino in difficoltà nel tenere il passo con l’accelerata implementazione dell’IA. Le regolamentazioni promosse dagli Stati Uniti e dall’Europa sembrano focalizzarsi sull’analisi del funzionamento interno dell’IA, trascurando la rilevante questione del controllo sulla tecnologia stessa.

L’intelligenza artificiale, costituendo una tecnologia unica, non solo sfrutta ma integra la proprietà intellettuale umana. Le imprese, in questo contesto, potranno plasmare il futuro dell’IA unicamente mediante sostanziali investimenti e finanziamenti diretti verso soluzioni che privilegino l’elemento umano, pur garantendo la tutela delle proprie proprietà intellettuali.

Pertanto, nel corso del 2024, l’attenzione dovrebbe concentrarsi non solo sulle potenzialità tecnologiche ma anche e sopprattutto sul nucleo fondante del sistema socioeconomico.

 

 

Fonti: wired.it, agendadigitale.it, forbes.com

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