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Normalizzare la leadership femminile - Laura Rossi, Responsabile dell’Amministrazione del Personale

Continuano le nostre interviste per l’iniziativa “Un anno dedicato alle donne in NS12” e oggi vi presentiamo Laura Rossi, la Responsabile dell’Amministrazione del Personale di NS12.

Laura, che lavora in NS12 da otto anni, ha accettato di rispondere alle domande e curiosità sul suo lavoro ma soprattutto di dare il suo punto di vista sulla leadership femminile e sul normalizzare la stessa negli ambienti prettamente maschili come le organizzazioni IT. 

Laura, come di consueto, rompiamo il ghiaccio chiedendoti di raccontarci il tuo percorso professionale, le tappe più importanti che ti hanno condotto alla posizione che ricopri oggi.

L: “Ho iniziato il mio percorso lavorativo diversi anni fa e prima di arrivare in NS12 e nel Gruppo Millennials nel 2014 lavoravo in un’azienda di informatica medio-grande con clienti importanti dislocati su tutto il territorio nazionale. Ho ricoperto diversi ruoli nel corso degli anni: ho iniziato come Data Entry e successivamente, grazie ad una formazione interna, mi sono stati assegnati dei clienti da gestire in autonomia come Ford Italia oppure Telecom – realtà importanti e fortemente orientate al business.

Gli anni 2000 sono stati difficili, molte persone sono finite in Cassa Integrazione, e proprio in quel periodo si sono liberate delle posizioni all’interno dello staff di sede. Sono stata richiamata per ricoprire alcune mansioni che si sono susseguite abbastanza velocemente: addetta ufficio viaggi interno, ufficio acquisti, ufficio del personale e successivamente l’amministrazione dello stesso. Proprio in quel periodo, così incerto e confuso, ho iniziato a formarmi e ad avvicinarmi al settore di cui oggi sono la Responsabile”.

Ci racconteresti il tuo lavoro in poche righe? Cosa significa esattamente essere la Responsabile dell’Amministrazione del Personale?

L: “Beh, innanzitutto, significa NON essere la Responsabile del Personale, che è una qualifica diversa da quella che svolgo io. Spesso le due professioni sono scambiate o confuse una con l’altra.

Nello specifico io mi occupo dell’aspetto amministrativo del rapporto di lavoro, facendomi carico di tutte le incombenze legislative e burocratiche che riguardano i dipendenti e i collaboratori della nostra azienda, e faccio in modo che tutte le scadenze e le norme dei contratti vengano rispettate e siano in linea con le leggi vigenti”.

Nella tua carriera professionale hai qualche ricordo di fatti significativi, belli o meno belli, che hanno lasciato un segno importante?

L: “Uno dei ricordi più belli riguarda il mio ingresso nell’area dell’Amministrazione del Personale ma soprattutto riguarda la fiducia che mi fu concessa dalla mia responsabile che – pur non avendo io una formazione adeguata che mi permettesse di lavorare in quell’ambito – non ha avuto dubbi o tentennamenti nel darmi una nuova occasione di crescita.  L’inserimento in questa nuova area ha rappresentato per me, anche a livello umano, uno dei periodi che ricordo con più affetto.

Assistere invece allo smembramento dell’azienda in cui ho lavorato per tanti anni e vivere l’incertezza della propria situazione lavorativa rappresentò uno spartiacque che all’epoca mi segnò”.

Quali sono le sfide che ti capita di dover affrontare più spesso nella tua attività lavorativa?

L: “Oltre ad una molle di lavoro non indifferente, è sfidante rapportarsi quotidianamente con moltissimi colleghi e collaboratori, di cui la maggior parte dislocati su tutto il territorio nazionale.  Inoltre, acquisendo rami di altre aziende, ci si ritrova spesso a confrontarsi con un tipo di personale non scelto ma “ereditato”, con un proprio vissuto e background personale e professionale che bisogna rispettare e capire”.

Nelle interviste con le tue colleghe, una degli argomenti più controversi e discussi è stato la capacità di gestire il proprio Work Life Balance. Tu come lo affronti?

L: “Trovare un buon equilibrio nel cosiddetto Work Life Balance è tutt’altro che scontato. Il mio percorso professionale è iniziato diversi anni fa ed allora questo concetto era molto lontano dalla nostra vita quotidiana.  Cerco di affrontare con energia e carica positiva anche le imprese più sfidanti ma non sono mancati momenti di sacrificio durante i quali il rischio di annullarsi come persona o di crollare sotto lo stress sono stati fortemente in agguato ed in quei casi è davvero importante cercare di ritagliare del tempo per sé stessi e concedersi lo spazio per rigenerarsi. Il senso del dovere è sicuramente segno di grande responsabilità ma se viene manifestato in maniera eccessiva può diventare un serio problema.

A tal proposito, lo smartworking risponde all’esigenza di creare un buon equilibrio tra vita lavorativa e vita personale. La chiave di successo di questa modalità sta nel modificare l’approccio nel rapporto responsabile-dipendente passando da “controllo” a “fiducia”. In particolare, per le donne poter lavorare per obiettivi condivisi organizzandoli con maggiore flessibilità nell’arco della giornata va oltre al semplice concetto di “lavorare da casa”.

Pensi che il peso che le differenze di genere hanno avuto sugli impatti sociali, economici e sanitari, dovute al Covid, hanno risvegliato le coscienze e portato le donne ad autodeterminarsi?

L: “Assolutamente sì.

La pandemia e il periodo passato in isolamento ci hanno tolto molto ma hanno anche portato in superfice delle situazioni scomode e problematiche che finalmente sono state messe nelle agende e nell’ordine del giorno dei nostri rappresentanti politici così come nelle discussioni sociali“.

Si sta parlando incessantemente di Empowerment femminile, dicendo alle donne che possono farcela. Secondo te è vero?

L: “Come professioniste ce l’abbiamo sempre fatta, facendo i salti mortali e cercando di conciliare la vita privata e vita professionale al meglio. Il nostro valore non è in discussione, presumo. Quello di cui si parla sempre più frequentemente oggi è di poter avere, finalmente un riconoscimento, un trattamento paritario all’interno dell’azienda di riferimento e nella società in generale.

È inutile cercare di negarlo, la cultura patriarcale di cui è intrisa la nostra società non ci ha mai permesso di “vedere” davvero che una situazione di disparità non solo esiste ma ha delle dimensioni tutt’altro che contenute.

Le donne si, possono farcela, mi auguro sia arrivata finalmente l’ora di un riconoscimento sociale e professionale che ci meritiamo”.

Siamo in chiusura Laura, nel ringraziarti per la disponibilità ti pongo un’ultima domanda. Negli ultimi anni il concetto del femminismo è tornato alla ribalta. Credi ci sia una banalizzazione nell’enfatizzare questo tipo di empowerment femminile o lo vedi con simpatia? E tu, ti definiresti una femminista?

 L: “No, non mi considero una femminista.

Trovo che il concetto e la lotta femminista negli anni sia stata troppo enfatizzata come argomento ma non come movimento e che questo “nuovo” tipo di lotta stia producendo un effetto contrario, allontanando la discussione dal vero fulcro di quelle che sono le nostre esigenze.

Tuttavia, rispetto e supporto un qualsiasi tipo di espressione, con modalità d’azione e conquista degli spazi che le persone ritengono più consone”.