Se l’introduzione di un corretto Smart Working richiede la preparazione di radicali cambiamenti organizzativi, non deve spaventare l’evoluzione dei processi di lavoro a cui andiamo incontro, in termini di procedure e pianificazione aziendale.
Su questa linea di pensiero, le aziende potrebbero iniziare definendo quali sono i risultati concreti, oltre a precisi indicatori di performance, per monitorare gli aumenti di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, cimentandosi in un profondo ripensamento dell’organizzazione dei tempi, degli spazi e dei modi di lavorare, ridisegnando le basi su cui si fonda il rapporto tra dipendente e datore di lavoro.
Saper cogliere l’opportunità di testare lo Smart Working per realizzare una tale riorganizzazione del lavoro consentirebbe ai datori di lavoro di capitalizzare gli evidenti vantaggi che questo sistema comporta: riduzione dei costi legati al mantenimento di una sede, aumento della produttività data da una migliore conciliazione tra vita privata e vita lavorativa per i dipendenti, e la possibilità di misurare la produttività non più sul numero di ore effettivamente lavorate ma sulla qualità dell’output prodotto.
Naturalmente, agli evidenti vantaggi per i datori di lavoro, fanno eco una serie di potenziali rischi per lavoratori fino ad ora poco abituati a queste modalità lavorative, e che potrebbero essere quindi più soggetti a sperimentare condizioni quali sindrome da burnout e senso di solitudine. Sarà quindi necessaria grande attenzione e cura nel ridisegnare le posizioni organizzative. Ciò includerà l’analisi del contenuto, delle responsabilità e della pianificazione delle attività lavorative, nonché i passi verso una minore centralizzazione e una minore gerarchia oltre ad avere più ruoli e meccanismi nei sistemi di gestione orizzontale.